Da questo bellissimo libro è stato tratto anche il film; purtroppo la scelta dei protagonisti non è stata secondo me troppo azzeccata: lui è Marco (interpretato da Stefano Accorsi che, quando la smetterà di recitare con quell'accento bolognese -va bene giusto per interpretare l'Alex B. di "Jack Frusciante è uscito dal gruppo-, forse comincerà a piacermi) e lei è Elena (Giovanna Mezzogiorno, troppo bella e troppo tutto per essere credibile nella parte di una ragazza distrofica, secondo me).
"Adesso che il servizio finisce ti togli un bel peso", sussurra Elena alla fine seduta sulla sua carrozzina. "Guarda che tu non mi pesi", ribatte Marco, "anzi, il fatto che tu sei tu, semmai mi si ha reso il servizio più leggero". "Più leggero non basta", risponde lei, "più leggero non mi basta, possibile che non lo capisci?".
Marco è un giovane architetto che riceve la cartolina precetto per il servizio civile, così prende servizio presso l'Anaman (Associazione Nazionale Affetti da Malattie Neuromuscolari). Assisterà una giovane distrofica, Elena, che è quasi completamente immobilizzata su una carrozzella dalla malattia. L'energia vitale di questa ragazza in carrozzina trascinerà Marco, in un percorso intimo e sociale, delicato e violento, durante il quale egli metterà in discussione le priorità e i principi che hanno regolato la sua vita, fino ad allora, il lavoro, gli affetti e i legami.

Questo libro mi è piaciuto molto, l'ho letto che Francesca era ancora piccola ed io avevo ancora molti pregiudizi nei confronti dell'handicap. Erano pregiudizi inconsapevoli, stupidi, immotivati probabilmente, ma quando una cosa non la si conosce, ci spaventa... è più facile, no? essere sospettosi, non aprire la porta... è un modo istintivo per difendersi da ciò che è diverso da noi. Quindi mi sono riconosciuta molto nel protagonista di questo libro e nel suo percorso interiore... quando racconta l'impatto dei suoi primi giorni all'Anaman e l'imbarazzo da lui provato nei confronti dei distrofici, mi ha fatto pensare a come io reagivo difronte agli handicappati. Non è che mi facessero paura, ma provavo disagio per la loro condizione, rabbia e paura di ferire. Questo libro mi ha fatto molto riflettere e anche aiutato a comprendere e giustificare coloro che si rapportavano con me e con l'handicap di mia figlia.
C'è anche una bella riflessione sulla violazione dell'intimità degli handicappati, in questo caso distrofici, che hanno completo bisogno degli altri anche per svolgere le normali funzioni quotidiane... come degli eterni bambini, insomma. Lui le chiama violazioni delle "bolle d'aria": quello spazio intimo e personale che ognuno di noi ha, che dovrebbe essere riservato, che dovrebbe essere nostro e basta. Quelle bolle d'aria che invece, alla maggior parte dei disabili, sono negate dalle circostanze del loro handicap, da un'identità annullata dal dover dipendere in tutto e per tutto dagli altri. Lo si potrebbe chiamare il "riserbo calpestato".
Tutto qua.