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  1. #1

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    Scienza e Salute

    Sindrome di Down: un amore diverso

    di Gianna Milano

    3/10/2006


    http://www.panorama.it/scienze/medic...38176/idpag1-1


    Hanno un'anomalia genetica, ma nella loro diversità questi ragazzi, se stimolati e aiutati a integrarsi nella scuola e nel mondo del lavoro, possono arrivare a vivere una vita gratificante e piena. È l'obiettivo delle tante associazioni che da anni si battono per loro



    L'assistente del medico osserva per un secondo il piccolo prima di tornare a guardare la madre. Per un attimo ha la sensazione che qualcosa non vada. Come se l'attenzione data a quella creatura grinzosa e rosea fosse eccessiva. Poi gliela porgono: «Congratulazioni, è una femmina».
    Chiede se c'è qualcosa che deve sapere. «Pensiamo abbia la sindrome di Down» le dicono infine. Tash, 39 anni e alla prima gravidanza, racconta al quotidiano inglese The Independent che una metà del suo cervello ha cercato di respingere l'informazione mentre l'altra metà vacillava.

    Non era la figlia che voleva. Ma chi biasimare? Le era stato detto che alla sua età la possibilità di un figlio Down era 1 su 80. Le era stato proposta, alla 18° settimana, l'amniocentesi, ma comportava un rischio minimo, circa 1 su 100, di abortire. Non se l'era sentita di perdere un bambino tanto cercato.
    «Attraverso lacrime (tante), paure, frustrazione e rabbia abbiamo cominciato ad amare nostra figlia Mia. Avrà anche gli occhi a mandorla, ma sono bellissimi quando mi guarda con quella sua miriade di espressioni così seducenti e uguali a quelle di ogni altro neonato.

    Una sera l'avevo appoggiata al mio petto, sentii la vita che le scorreva dentro, e ho pensato: lei è quello che è, ed è nostra. Poco alla volta ho iniziato a focalizzarmi più su di lei, perché è Mia che dovrà sopportare la fatica di avere la sindrome di Down e quello di cui ha bisogno sono il nostro amore e la nostra determinazione» dice Tash.
    È per alimentare questo filo di speranza e di progettualità, ma anche per combattere stereotipi e barriere, che il Coordinamento associazioni persone con sindrome di Down organizza l'8 ottobre la giornata nazionale dedicata a questa «diversabilità», come l'ha definita l'Oms.

    Oggi in Italia un bambino su 1.200 nasce con questa sindrome e si stima siano 38 mila le persone Down nel Paese. Non più solo bambini, ma adulti e anche anziani. «Se negli anni 40 l'aspettativa di vita per chi nasceva con la sindrome era di 12 anni, oggi possono superare i 60 anni» osserva Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell'Associazione italiana persone Down (Aipd).
    Un tempo la mortalità per malattie polmonari e cardiopatie era per loro molto più elevata che nella popolazione normale. Dietro la nuova longevità ci sono cure tempestive dai primi mesi di vita. «Ricordo che nel 1975 ci si poneva il problema di operare al cuore questi bambini: nel 40 per cento dei casi nascono con cardiopatie congenite, più spesso si tratta del canale atrioventricolare, un'apertura fra i due atri e i due ventricoli che fa mescolare sangue arterioso e venoso.

    L'intervento ora è di routine» dice Pier Paolo Mastroiacovo, pediatra e direttore dell'International center on birth defects (Icbd), a Roma. Diversi sono oggi i centri negli ospedali che offrono un percorso programmato nel tempo per i problemi clinici che man mano si presentano nei bambini nati con la sindrome. «Per affrontare i loro bisogni speciali abbiamo formato dal 1991 un'équipe di specialisti: cardiologo, ortopedico, otorino, endocrinologo, oculista.

    Giovani con sindrome di Down inseriti con successo nel mondo del lavoro: al tornio e, sotto, in un panificio
    Un centro di riferimento all'interno dell'ospedale che segue via via che crescono i loro problemi» spiega Cesare Ghitti, pediatra al San Gerardo di Monza, dove vengono seguiti oltre 430 bambini con sindrome di Down da tutta la Lombardia. «Assistere con rigore scientifico, seguendo linee guida, è importante. Ne guadagna la loro qualità di vita e serve a ridurre l'ansia di genitori spesso spaesati» aggiunge Maria Grazia Dell'Orto, del Centro del San Gerardo, cui fa riferimento dal 1997 l'associazione Capirsi Down.

    Prezioso è stato il lavoro di sensibilizzazione delle tante associazioni nate negli anni (l'Aipd ha 39 sedi periferiche e l'Unidown ne raccoglie 25), spesso per iniziativa di genitori che sentivano il bisogno di comunicare fra loro, raccogliere informazioni e creare opportunità, dall'inserimento nella scuola al lavoro.
    Su internet sono sbocciati siti di incontro virtuale in cui genitori, fratelli e sorelle si scambiano esperienze. Dal primo anno di attività del forum www.sindromedown.it è nato il libro Come pinguini nel deserto, 400 e più pagine di storie variegate, preoccupazione, gioia, dolore, rifiuto, e del cammino che ogni genitore deve compiere.


    «La condivisione dei sentimenti contrastanti resa possibile da questo mezzo virtuale è diventata per molti un supporto irrinunciabile al proprio faticoso percorso di accettazione» scrive il cantautore Eugenio Finardi nella prefazione. A Elettra, sua figlia Down, ha dedicato la canzone Un amore diverso.
    Cos'è la sindrome di Down o trisomia 21? È un'alterazione genetica caratterizzata, nella sua forma più comune, dalla presenza di un cromosoma in più.

    Il corredo di quei bastoncelli, le matasse di dna nel nucleo delle cellule, è di 47 e non di 46. Un capriccio della natura che avviene al momento in cui ovocita e spermatozoo, le cellule germinali con un set singolo di 23 cromosomi, formano un'unica cellula e inizia lo sviluppo. Il primo a descrivere fisionomia e sintomi dei bambini con questa anomalia fu nel 1862 il medico inglese John Langdon Down.

    Ma per arrivare a scoprire le basi genetiche della sindrome passerà un secolo. Nel 1959 il pediatra francese Jérôme Lejuene scoprì che questi bambini hanno tre copie del cromosoma 21. La possibilità di avere un figlio con questa anomalia sale con l'età della donna. «Dopo i 35 anni si propone l'amniocentesi, un test invasivo fra la 16°-18° settimana di gravidanza, e comporta nello 0,5 per cento dei casi un rischio di aborto spontaneo.
    Altro metodo, proposto a donne di ogni età, è il Tritest, un prelievo del sangue che fornisce solo la probabilità di avere un bambino con sindrome di Down e serve a decidere se eseguire l'amniocentesi o no. Non dà la certezza assoluta come l'amniocentesi. Così come l'esame della translucenza nucale, eseguito con l'ecografia» spiega Mastroiacovo.

    Per troppo tempo le persone Down sono state liquidate come «ritardate» e quindi incapaci di avere una vita ricca e gratificante sia mentale sia sociale. Le limitazioni fisiche (una certa frequenza di ipotonia muscolare, problemi ricorrenti di vista, udito e disturbi alla tiroide) e intellettive (un variabile grado di ritardo mentale) non impediscono a questi bambini di compensare o recuperare, grazie a interventi educativi appropriati, le loro potenzialità.

    A Roma dal 30 settembre al 5 ottobre si svolgono i Giochi europei per i ragazzi disabili
    «Interagire con loro in modo corretto è importante. I genitori sono passati dall'accettazione passiva di un tempo, che non spingeva ad alcuna formazione educativa, forse a un iperinvestimento, stimolandoli nella speranza di far sparire i loro limiti, che spesso emergono nell'adolescenza. A quel punto sono loro stessi a percepire le differenze» dice Silvana Quadrino, psicoterapeuta.

    «Ci sono genitori che fanno un investimento narcisistico sui figli, non solo Down. Li sottopongono a richieste eccessive, confrontandoli di continuo con i loro limiti e producendo un senso di inadeguatezza» aggiunge Clara Crespi, psicoterapeuta. «È vero però che negli ultimi anni genitori e operatori hanno maturato aspettative più realistiche verso questi ragazzi, grazie anche al lavoro delle associazioni» riferisce Contardi.
    La legge che definisce le politiche di educazione e integrazione nella scuola dell'obbligo per i bambini disabili ha compiuto 30 anni. I piccoli con la sindrome di Down in Italia non frequentano scuole speciali, stanno con gli altri e hanno un insegnante di sostegno con programmi individualizzati.

    Funziona l'integrazione? Sono bambini simpatici, allegri, affettuosi, che non disturbano, dicono le insegnanti. «Se alle elementari integrarsi è più facile, sono tutti piccoli e più o meno con la stessa età mentale, alle medie il deficit cognitivo emerge e le cose si complicano» avverte Margherita Mainini, insegnante di sostegno. «Purtroppo le occasioni per un lavoro didattico di vera integrazione sono poche.
    Non ogni giorno si può fare un'attività manuale e psicomotoria che coinvolga tutti allo stesso modo. Se devono imparare davvero, dobbiamo ottimizzare il loro tempo e, soprattutto, non aver paura delle differenze, perché non tutti sono uguali agli altri, ma possono fare molti passi avanti nella loro specificità».

    Gli anni del futuro adulto sono ancora da costruire. Se l'integrazione nella scuola è riuscita a ridurre lo stigma sociale, quella nel mondo del lavoro è lontana. «Un vero lavoro, però, che non sia un parcheggio ma un effettivo contributo produttivo» puntualizza Contardi.
    Le leggi ci sono, ma c'è anche diffidenza da parte delle aziende. Un esperimento innovativo è in corso in un liceo di Matera per ovviare alla divisione fra scuola e mondo del lavoro. «All'interno della scuola ragazzi e ragazze organizzano possibilità di lavoro sul territorio per coetanei con sindrome di Down e altre disabilità. Funziona come un servizio aperto al quartiere: occorre sistemare i giardini? Loro si rendono disponibili. Serve un laboratorio di informatica? Loro acquisiscono competenze per farlo» racconta Carlo Calzone, neuropsichiatra di Matera.

    Nelle strutture da attivare rientrano le comunità-alloggio, ci sono già alcune esperienze di piccoli gruppi di persone Down che vivono assieme in appartamenti, con la presenza più o meno assidua di educatori. È il risultato di un percorso di autonomia e distacco dalla famiglia e potrebbe ovviare all'angoscia del «dopo» che prende i genitori.
    «Allungandosi i tempi di vita, è naturale che questi ragazzi rischino di restare soli. È necessario pensare a soluzioni residenziali adeguate» aggiunge Contardi. Uno degli obiettivi del Coordinamento è rendere accessibile anche a chi è Down e ha un piccolo lavoro il diritto alla pensione di reversibilità dei genitori.

  2. #2

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    UAU! Ci siamo anche noi
    Un articolo davvero ben fatto, brava Sonia ad avercelo segnalato
    Francesca, mamma di Davide, Rosa, Margherita e Althea.

  3. #3

  4. #4

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    Brava, Sonia!

    Quote Originariamente inviato da Sonia
    Oggi in Italia un bambino su 1.200 nasce con questa sindrome e si stima siano 38 mila le persone Down nel Paese. Non più solo bambini, ma adulti e anche anziani. «Se negli anni 40 l'aspettativa di vita per chi nasceva con la sindrome era di 12 anni, oggi possono superare i 60 anni» osserva Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell'Associazione italiana persone Down (Aipd).
    Mi ha un po' «sopreso» leggere questa nuovo rapporto di nati Down... si è notevolmente abbassato, dato che dieci anni fa erano in rapporto di uno su 700!
    A proposito, la prossima settimana qui a Forlì c'è un incontro sulla SdD con Anna Contardi... non mancherò di andare e di pubblicizzarci!
    milena, mamma di Francesca... e anche di Giorgia!

  5. #5
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    Brava Milena! bella idea
    Purtroppo il limite di nascite che si è abbassato sappiamo bene a cosa è dovuto

    Bell'articolo e brava Sonia a scovarlo... non pensavo fossimo così "famosi"
    "Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono e per questo si chiama presente"

  6. #6

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    ma quei numeri sulle nascite, che tristezza.......

  7. #7

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    Dai non credo sia solo per gli aboriti!
    Si fanno anche meno figli e con la contraccezione una volta arrivati al numero desiderato (2????) pochi vanno incontro alla gravidanza dopo i 40 anni e quindi le probabilita' diminuiscono, secondo le statistiche ....ma io vedo che ne nascono molti anche fra le giovani madri, almeno nel mio paese solo una mamam lo ha avuto down a 41 anni, noi altre eravamo tutte giovani( mi autocomplimento)...

    Un tempo si partoriva in continuazione fino a che madrenatura lo<permetteva e le probabilita' erano di piu!Anzi spesso si avevano anche piu' figli disabili con diverse disabilita!
    Io forse non saro' mai nessuno , ma sicuramente nessun'altro sara' come me.
    (Jim Morrison)

  8. #8

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    no, elsy, l'età media delle primipare si sta alzando inesorabilmente! Si tratta solo degli esami prenatali, che implicano una percentuale elevata di aborti, non ci sono altre spiegazioni.

  9. #9

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    IO NON voglio crederci, non mi rimane che l'altra ipotesi per consolarmi : dicimao che su pochi figli che si fanno , meno probabilita' di figli disabili!
    Io forse non saro' mai nessuno , ma sicuramente nessun'altro sara' come me.
    (Jim Morrison)

  10. #10

    Predefinito

    naaaa, il rapporto di cui parliamo è nati down su totale nati... e quindi non è influenzato dal numero di figli che si fanno...
    Mi sa che ti devi rassegnare all'idea, Elsy

  11. #11

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    Su questo tema volevo portare alla vostra attenzione un dato che reputo diciamo ... curioso.
    Fino a due anni fa circa se uno girava per la rete ... l'informazione che trovava rispetto alla presenza di persone down sul territorio nazionale era ... "circa 70.000" ... da quest'anno il n° più frequentemente diffuso sui siti aggiornati e/o sulla stampa è 38.000
    A parte i doverosi commenti sulla affidabilità di internet come fonte di informazione ... non lascia indifferenti questo "cambio" nel n° ... a fronte del continuo aumento della speranza di vita che tanto viene sbandierato per le persone down. E se fosse vero ... la spiegazione che potrebbe giustificare entrambe le effermazioni, potrebbe solo essere che ben più di una gravidanza su due di persone down ... viene interrotta.

    Qualcuno è a conoscenza di statistiche in proposito di fonte più significativa? Secondo me sarebbe abbastanza interessante "ragionare" su dati attendibili ...
    Non con la mole vincete o fallite ... siate il meglio di qualsiasi cosa siete
    www.darioweb.com

  12. #12

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    Quote Originariamente inviato da drdlrz
    naaaa, il rapporto di cui parliamo è nati down su totale nati... e quindi non è influenzato dal numero di figli che si fanno...
    Mmh... sicuro? A me viene in mente qualche altra considerazione che non dovrebbe rendere costante il rapporto "nati down/numero nati" al variare del denominatore. E cioè un'altra variabile che è in funzione del numero nati: a che età della mamma avvengono le nascite?
    Pregando poi, non sprecate parole..., perchè il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate [Mt. 6, 7-8]

  13. #13

    Predefinito

    Nunzio ... considerando quel fattore ... è ancora peggio, perchè appunto come diceva Cri sopra ... l'età delle primipare si alza vertiginosamente!
    Non con la mole vincete o fallite ... siate il meglio di qualsiasi cosa siete
    www.darioweb.com

  14. #14

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    Il numero di nati down, in valore assoluto, è logico che potrebbe diminuire se diminuisce il numero totale di nati (o il numero medio di figli per donna). E a questo credo che faccia riferimento Elsy.
    Il rapporto nati down/totale nati, invece, è per definizione "standardizzato" rispetto al numero totale di nati (si divide apposta), e infati si legge come tot nati down su 1.000 nati.
    Se tale rapporto è cambiato nel tempo (cioè se i dati riportati sono veri), ci deve essere stato un qualche fattore perturbante di quella che è quasi una legge di natura, come il rapporto maschi/femmine... dove sono alterati è perchè c'è qualcuno che li altera (come in cina per il rapporto maschi / femmine).
    Se l'innalzarsi dell'età media della madre al primo figlio è un fattore perturbante, dovrebbe esserlo, come dice Sandro, nel senso di alzare il rapporto.
    Se invece il rapporto è diminuito, vanno cercate altre cause.
    Quella che, evidentemente, salta agli occhi è data dal diffondersi degli esami prenatali, e dalle decisioni prese - in massima parte - di conseguenza.
    Dal momento che, per ora, la scienza ha trovato correlazione solo con l'età della madre, e questa rema in senso contrario, si tratta davvero dell'ipotesi più plausibile...
    Quello che mi piacerebbe è vedere un po' in giro se si trovano dati attendibili su questo, ma sarà difficile poterci accedere.

  15. #15

    Predefinito

    Quote Originariamente inviato da drdlrz

    Se l'innalzarsi dell'età media della madre al primo figlio è un fattore perturbante, dovrebbe esserlo, come dice Sandro, nel senso di alzare il rapporto.
    Se invece il rapporto è diminuito, vanno cercate altre cause.
    Quella che, evidentemente, salta agli occhi è data dal diffondersi degli esami prenatali, e dalle decisioni prese - in massima parte - di conseguenza.
    Dal momento che, per ora, la scienza ha trovato correlazione solo con l'età della madre, e questa rema in senso contrario, si tratta davvero dell'ipotesi più plausibile...
    Sicuramente gli esami prenatali giocano un ruolo fondamentale.

    Sull'età della mamma (e posto che accettiamo tutti che aumentando l'età della mamma, aumenta la probabilità di avere un bambino Down) io invece ho ragionato in modo diverso. Se in passato si aveva un maggior numero di nati (il denominatore del rapporto) è molto probabile che ogni donna partorisse in media più figli rispetto a quanti ne partorisce oggi. E se è certo che oggi le donne hanno in media il primo (e magari unico) figlio a un'età maggiore rispetto al passato, bisognerebbe vedere a che età le nostre nonne o bisnonne avevano l'ennesimo figlio.
    Neutralizzando l'influenza data dall'esistenza degli esami prenatali, non so se il rapporto sarebbe rimasto costante ovvero sarebbe diminuito in virtù del fatto che un bimbo nasce oggi a un'età media della mamma più bassa rispetto al passato. Così, giusto per esempio: mia nonna ha avuto l'ultima figlia a una distanza di 26 anni rispetto alla prima e quando aveva, se non ricordo male, 47 anni. Tanto che uno dei nipoti è più grande dell'ultima zia. E di casi così ne esistono a sufficienza.

    Non so se sono stato spiegato... ma non avendo altro da fare mi sono dedicato alla cultura del dubbio .
    Pregando poi, non sprecate parole..., perchè il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate [Mt. 6, 7-8]

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