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Discussione: i nostri pensieri

  1. #16

    Predefinito

    Elena, la tua poesia mi e' piaciuta tantissimo!!!
    Ed anche il pensiero di Rayssa, soprattutto il finale, che esprime tutto l'amore per la tua bimba.

    Vi faccio leggere un paio di cose che ho scritto...

    Prima un passo del mio libro, che parla della prima bimba con la quale ho lavorato ( 6 anni, con idrocefalo e ritardo mentale grave),
    Poi un racconto(un po' lungo, scusate) uno sulla Sindrome di Williams. Spero vi piacciano!!


    CECILIA: "Entrai e chiusi la porta.
    Lei era gia’ scomparsa dentro ad una pallestra, una di quelle piscinette piene di palline di plastica colorate che si trovano alle fiere, e tra le palline emergevano soltanto la sua testolina spettinata ed i suoi occhioni che fissavano il nulla.
    Come per magia si era calmata, aveva smesso di urlare e giaceva la’ dentro, immobile e silenziosa, allora mi tolsi le scarpe e mi sdraiai di fianco a lei, lasciandomi sommergere dalle palline.
    Ci guardammo.
    Si’,proprio cosi’, lei mi guardo’, quasi negli occhi, come se mi vedesse per la prima volta, come se si stesse risvegliando da un lungo sogno, ed io rimasi li’ a fissarla, non osando neppure respirare per non rompere l’incanto. Dopo pochi secondi distolse lo sguardo, e per attirare la sua attenzione mi misi a cantare una canzone dello Zecchino d’Oro che amavo da bambina : “Sono nata in uno strano paese/ inventato settecento anni fa/ da un tedesco , un italiano e un francese/..” Cecilia riprese a guardarmi, attenta e presente come non l’avevo mai vista. Allora abbaiai e miagolai , mettendomi una pallina in testa ( meno male che nessuno poteva vedermi!!), ed in quel momento il suo viso si apri’ in un enorme sorriso, e prese a dare bacini all’aria, facendo schioccare forte le labbra.
    Ero elettrizzata, allora c’era qualcosa in quella bambina!!
    La imitai, e dopo un po’ mandavamo tutt’e due tanti bacini all’aria e sorridevamo.
    Non ero mai stata cosi’ felice, era incredibile quello che stava succedendo… avrei voluto che quel momento durasse per sempre."


    "
    Meta’ Aprile. Cecilia continuava a fare piccoli miglioramenti, passi avanti impercettibili per la gente che guardava da fuori, ma per lei risultati eccezionali, che solo un paio di mesi prima mi sarebbero sembrati pura fantascienza.
    Ormai la piccola imitava gesti e suoni, aveva imparato a comunicarci alcuni suoi desideri, quali bere o ascoltare la musica, tentava di chiudere da sola la bottiglia dell’acqua, e rispondeva a semplici consegne, come raccogliere un quaderno o mettere via i giocattoli.
    Nella palestra, gli esercizi che le proponevo erano piu’ complessi, cercavo addirittura di farle combinare piu’ sillabe.
    Sapevo che non avrebbe forse mai imparato a parlare, ma solo il fatto che sapesse produrre vari suoni mi sembrava utile per la sua autonomia, come forma di comunicazione.
    Un pomeriggio, stavamo cantando con i bambini. Deepak e Luigi collaboravano, ma Jessica era altrove, e ripeteva senza sosta “ Mamma..Papa’..Mamma…”, intervallati da risate tra se’ e se’.
    Cecilia, che stava tendendo il tempo con il mio aiuto, smise di seguire la canzone e guardo’ Jessica…. “Maa…MMMMaa….” Fece, rivolta verso la ragazzina.
    Aveva collegato due sillabe! Aveva detto Mamma!
    La abbracciai e glielo feci ripetere.

    Non era una parola. Lo sapevo. Non aveva detto veramente “ mamma”, perche’ non c’era intento comunicativo in quelle due sillabe, e nessuna comprensione ne’ intenzionalita’.
    Ma aveva ripetuto una parola, la sua prima parola."



    RACCONTO " UN HOBBIT DAI CAPELLI ROSSI " ( 2007


    Numerose fiabe e leggende popolari hanno come protagonisti gli gnomi : creature che vivono nei boschi, di bassa statura, con i lineamenti del viso molto pronunciati, gli gnomi sono simpatici, socievoli e cordiali, amano parlare e raccontare storie.

    Alcuni testi di psicologia ipotizzano che essi siano in realta’ persone con la Sindrome di Williams, e io sono d’accordo.

    Forse anche Tolkien pensava a persone Williams quando scriveva dei suoi Hobbit, anche loro piccoli, allegri, con i capelli ricci ed una spiccata passione per la musica, il canto e la danza.



    E quella bambina mi ricordava proprio un Hobbit.

    Si chiamava Valeria, mi dissero. Furono gli altri bambini a dirmi il suo nome, perche’ lei non parlava, a causa di una malformazione alle corde vocali che tra l’altro era indipendente dalla Sindrome.

    Di solito, infatti, il linguaggio e’ proprio uno dei punti di forza di questi bambini, che sono dei veri chiacchieroni fin da piccolissimi, nonostante il ritardo mentale.

    Valeria aveva otto anni. Era piccola ma piuttosto robusta, con il viso paffuto, le labbra carnose e il naso a patata; ed una combinazione di caratteristiche insolite : capelli rossi, corti e ricci, ed occhi bellissimi , di un verde smeraldo che mi ricordava il mare della Sardegna.



    Me la presentarono, e due secondi dopo lei non c’era piu’. Sparita. Era andata a nascondersi da qualche parte in quella stazione enorme, e non voleva saperne di farsi trovare.

    Ma dovevamo partire, il nostro treno sarebbe arrivato tra poco, quindi decisi di mettere a tacere la psicologa che era in me, che mi diceva di agire con calma per darle il tempo di ambientarsi , ed andai a cercarla.



    Chiesi ai viaggiatori in sala d’attesa se l’avessero vista, ma nessuno ci aveva fatto caso.

    Controllai il bar, il Mc Donald’s , i bagni, i binari...ma niente.

    Andai all’ufficio oggetti smarriti, dove mi presero per pazza, perche’ una bambina non e’ esattamente un oggetto smarrito…

    Mancavano dieci minuti alla partenza, ed iniziavo a sentire il panico salirmi fino allo stomaco, non sapevo proprio cosa fare.

    Era forse salita sul treno sbagliato? Si era nascosta in una carrozza di un treno che poi era partito?

    O l’avevo soltanto immaginata? Esisteva davvero, quel folletto con i capelli rossi…?



    Alla fine la trovai. Era accucciata in mezzo agli scaffali del negozio di dolciumi, intenta a servirsi a piene mani da un sacchetto di caramelle, che in parte si infilava in bocca ed in parte metteva in tasca, ed ormai la tasche dei suoi pantaloni traboccavano di gelatine di tutti i colori.



    “ Ma ti sembra il momento di giocare a nascondino?? “ la rimproverai cercando di restare seria, perche’ dopotutto la scena era quasi comica, e poi se avessi avuto otto anni anch’io avrei scelto come nascondiglio un negozio di caramelle…

    Lei si giro’ mostrandomi la lingua , e con una risatina divertita prese a correre in direzione del nostro binario, sul quale ci aspettavano gli altri.

    E questo era solo l’inizio.



    Durante il viaggio in treno rimase stranamente tranquilla. Guardava fuori dal finestrino con un’espressione assorta, come se volesse imprimere nella sua mente tutto quello che vedeva , per poterlo rivivere una volta diventata grande.

    Io non parlavo per non disturbarla, perche’ dava davvero l’impressione di essere concentrata su qualcosa di molto importante.

    Dopo quasi un’ora, pero’, il suo sguardo divenne meno attento, lentamente gli occhi le si chiusero e lei si addormento’, con la testa appoggiata alla mia spalla ed una manina stretta tra le mie.



    Arrivammo all’hotel per cena, ma i bambini erano talmente stanchi che mangiarono poco e vollero andare subito nelle stanze, anche se la felicita’ di essere in vacanza e la curiosita’ di trovarsi in un posto nuovo presero il sopravvento sulla stanchezza, e per tutta la notte l’albergo risuono’ delle risate e delle chiacchiere di venti piccole pesti alte un metro scarso.

    Valeria saltava sul letto, senza emettere neanche un suono, ma battendo le mani , ed ogni tanto parlava tra se’ e se’ in una lingua dei segni nota solo a lei, che sul momento mi sembrava indecifrabile.



    Il giorno seguente iniziammo a conoscerci, e mi resi conto di avere a che fare con una bambina molto intelligente ed acuta osservatrice nonostante i suoi handicap, dotata di una personalita’ forte e determinata, e spesso persino ribelle e da “maschiaccio”.

    Pur non parlando capiva perfettamente tutto quello che le veniva detto, e comunicava senza problemi con chiunque, usando i suoi gesti , il corpo e le espressioni del viso .

    Amava giocare con i maschi, e soprattutto con quelli piu’ grandi di lei, che fisicamente la sovrastavano ed avrebbero potuto sollevarla con una mano o farle del male, se avessero

    voluto.

    Ma per lei non era un problema.

    Si buttava in mezzo a loro pretendendo di sfidarli in una lotta a corpo libero o in una partita a calcetto, si faceva accettare, che loro lo volessero o no, e molto spesso risultava essere un membro prezioso della squadra e un’avversaria agguerrita.

    Anche con me sfogava il suo temperamento, e quando non voleva fare qualcosa non c’era verso di convincerla, doveva a tutti i costi decidere lei.



    Dopo cena ci riunivamo nel salone dell’hotel per divertirci con la musica, ed i bambini cantavano e ballavano per tutta la serata.

    La felicita’ e l’amore per la vita che trasmettevano non si possono descrivere a parole, ma riempivano l’aria e si diffondevano per la stanza, tanto che spesso anche gli altri clienti dell’albergo scendevano nel salone e si sedevano a guardare i nostri bambini.

    Valeria era come sempre tra i piu’ scatenati. Ballava e saltava, ridendo a crepapelle.

    Aveva una risata acuta ma piena, come il suono di migliaia di monetine che cadono tutte insieme.



    Una sera pero’ vidi che si era allontanata dal gruppo e si era seduta sul dondolo, sotto il portico.

    Si dondolava con una gamba, l’altra piegata a nascondere il viso, e si copriva gli occhi con le mani.

    In silenzio gliele spostai, e vidi che stava piangendo.

    I suoi splendidi occhi verdi erano gonfi ed arrossati,e respirava affannosamente.

    “ Che cosa c’e’? – chiesi un po’ in apprensione- ti hanno fatto qualcosa?”

    Scosse la testa, ed a gesti mi spiego’ che si era divertita molto in quella vacanza, e non voleva tornare a casa.

    Le dissi che non sarebbe finito tutto li’, ma avrebbe rivisto in altre occasioni sia me che i bambini.

    Lei abbozzo’ un sorriso e mi abbraccio’, e rimanemmo a dondolarci osservando le stelle, mentre la musica ci arrivava attutita e lontana.



    L’ultimo giorno, i genitori vennero a riprendere i bambini.

    La mamma di Valeria disse alla bimba che l’avrebbe portata a casa di Anna, con la quale lei aveva fatto particolarmente amicizia.

    Valeria fece un largo sorriso e batte’ le mani, si dimentico’ all’istante della tristezza della sera precedente, e se ne ando’ senza neanche guardarmi.

    Non mi aveva neppure salutata, ma forse era giusto cosi’.

    La sua vita era altrove, ed a me bastava averla accompagnata per una parte del suo percorso.



    Quando ripenso a lei, pero’, mi chiedo se non fosse davvero uno dei folletti di cui parlano le fiabe , e se avventurandomi nel bosco non potro’ un giorno ritrovare il mio piccolo Hobbit dai capelli rossi. "

  2. #17

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    Sicuramente andrò OFF TOPIC ... Postando i miei di pensieri.
    Non ho un cucciolo al quale scrivere, purtroppo.
    E so che vi suonerà strano, ma a volte leggendo cosa scrivete sui vostri figli, provo invidia per ciò che date e ricevete.

    Questo è uno dei miei rietri a casa, da single quarantenne, annoiata, delusa dalle persone, depressa, ma comunque solare e con la voglia di vivere il mondo e gli altri.

    Ancora scuse per l'OFF TOPIC

    --------------------
    La porta si chiude
    Alle mie spalle
    Luce
    Sono a casa
    Poso le chiavi
    Tolgo le scarpe
    Alzo la testa, distratta
    Incontro uno specchio, perso anche lui nei propri pensieri
    Osservo la mia faccia, quasi non fosse la mia
    Forse per questo mi sorrido, e guardo subito altrove
    In un altro luogo, chiuso nello specchio
    Immagini mi riempiono gli occhi, guardando aldilà dello specchio
    Prendono forma
    Me stesse represse
    Desideri non esauditi
    Pensieri incompiuti
    Sogni mai trovati al risveglio
    Silenzi pieni di rumori impropri
    Gusci incrinati ma mai rotti
    Sipari calati su scene senza applausi
    Canzoni solo accennate
    Sbornie mai fatali
    Mi smarrisco
    Vulnerabile. un po'
    Fragile, forse
    Ma non doma
    Infatti è solo un attimo
    Mi contemplo di nuovo, i miei occhi stanchi puntati nei miei occhi
    E, guardandomi, so di essere fortemente viva.
    --------------------

    Marina

  3. #18

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    Maya la tua poesia e' molto bella, ha delle immagini veramente intense ed evocative e trasmette benissimo la profondita' delle tue sensazioni.

  4. #19

  5. #20

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    io dico che traspare da loro tutta la tua sensibilità e tutto il tuo amore per gli "altri" grazie ancora di essere con noi.

  6. #21

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    GRAZIE, sono contenta che ti siano piaciuti!

  7. #22

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    Scusate se rompo ancora con i miei racconti...prometto che dopo questo vi lascero' in pace per un po'... ma sento molto il bisogno di avere dei pareri sulle cose che scrivo....Ok ecco l'ultimo racconto che vorrei farvi leggere.


    Grazie per la vostra pazienza!!!

    ALESSANDRO. LA FESTA DI COMPLEANNO

    Era il giorno del suo compleanno, e sapevo che dopo quella sera non l’avrei piu’ rivisto. Avevo conosciuto Alessandro durante il tirocinio in RTC, il Reparto Traumi Cranici di un centro che, oltre ai pazienti con danni neurologici , ospitava anche alcuni adolescenti in gravi difficolta’ famigliari e comportamentali.
    Quando ero arrivata in RTC, Alessandro aveva 14 anni ed era un ragazzo profondamente triste, ferito e chiuso nella sua sofferenza, dovuta a pesanti problematiche in famiglia, e sfociata anni prima in un tentativo di suicidio.
    Adesso stava per compierne 17 e, grazie al lavoro svolto dagli operatori e dagli psicologi della struttura e in parte, mi piace pensare, anche da noi tirocinanti , era finalmente riuscito a crescere, liberandosi della depressione che gli impediva di esprimere le sue emozioni e la sua personalita’.
    Non che i problemi fossero tutti risolti, ma ,negli ultimi mesi, Alessandro aveva iniziato a aprirsi di piu’, ad instaurare relazioni con gli altri, a sorridere molto piu’ spesso ed a dare voce a quello che aveva dentro. Inoltre lavorava come meccanico, dunque guadagnava soldi suoi e si sentiva utile, ed aveva iniziato a viaggiare da solo nel weekend, cosa che lo faceva sentire giustamente “grande” ed indipendente.
    Visti gli inaspettati progressi, l’equipe che lo seguiva aveva deciso di dimetterlo dal centro con un anno di anticipo rispetto al previsto, e la notizia era arrivata all’improvviso a lui come a noi: il giorno seguente al suo diciassettesimo compleanno, Ale sarebbe tornato a casa, questa volta per sempre.

    Io, invece, finito l’anno di tirocinio ero rimasta in RTC come volontaria, continuando a lavorare per altri due anni con Alessandro ed i pazienti nuovi, che avevano preso il posto di Enrico, Giacomo, Irma e tutti gli altri.
    Ora pero’ avevo in programma di trasferirmi in un’altra citta’ per studio, dunque quel giorno non sarebbe stato l’ultimo solo per Alessandro, ma anche per me.

    Entrai in RTC, ed ogni passo che facevo, ogni cosa che vedevo, mi servivano per imprimermi nella memoria quei momenti, e poterli rivivere in futuro, quando avrei voluto. Volevo memorizzare tutto : il soggiorno, il corridoio, le stanze, il lungo tavolo preparato per la festa, con i pasticcini, la bibite, ed i pacchi regalo su di una sedia.
    Il mio era sul divano, e conteneva una t- shirt del suo colore preferito, rossa.

    Eravamo tutti pronti, intorno al tavolo, e Susanna era riuscita ad invitare persino molti dei vecchi pazienti e tirocinanti, che nell’attesa facevano conoscenza con quelli attuali.
    Finalmente, Alessandro entro’ dalla porta principale, ma, prima che potessimo salutarlo, si era gia’ rifugiato in camera sua.
    Sgattaiolai nel corridoio e bussai alla porta “Ale??” “Entra”- sussurro’ lui- .
    “ Ehi, cosa fai qua? Ti stanno aspettando tutti, la festa non puo’ iniziare senza di te.”
    “Sono stanco, non ho voglia di venire”. La sua voce era un mormorìo senza espressione, e teneva gli occhi fissi per terra.
    Da tempo ormai non si comportava piu’ in quel modo, e guardandolo capii che la situazione era davvero troppo pesante per lui.
    Una dimostrazione di affetto cosi’ diretta, la festa, tutti noi li’ solo per lui, l’imminente ritorno a casa… Stava accumulando troppe emozioni, tutte insieme, ed il ritorno alla vecchia introversione era un modo per gestire il sovraccarico e per riprendere il controllo prima di affrontarle.
    “ Va bene allora, se non vuoi venire vuol dire che festeggeremo senza di te….” Ormai lo conoscevo, ed avevo imparato che insistere su un argomento aveva con lui l’effetto opposto, percio’ tornai tranquillamente in salotto chiudendomi alle spalle la porta del corridoio.
    E, come previsto, pochi minuti dopo Alessandro era in mezzo a noi, cupo e silenzioso, ma c’era. Partecipo’ alla festa con un distacco che rasentava l’ostilita’, ma io sapevo che era soltanto emozionato, e non riusciva ancora a capacitarsi di avere qualcuno che si interessasse a lui e che gli dimostrasse di valere qualcosa.
    Lo vedevo teso, emozionato, incredulo, ma al tempo stesso intensamente felice.
    Ma non voleva lasciarsi andare, permettere a se’ stesso di gioire, perche’ dentro di se’ lo sapeva che le cose belle, prima o poi, finiscono, e le persone che dicono di volerti bene, alla fine ti lasciano…

    Dovetti spronarlo per ogni piccola azione, mangiare la torta, brindare, scartare i pacchi… ma accetto’ tutto, tentando con tutte le sue forze, ma senza molto successo, di dissimulare la gioia che aveva dentro.

    Finita la festa, rimasi l’unica volontaria in reparto, e per un po’ aiutai le inservienti a sparecchiare e mettere in ordine. Avrei anche potuto non farlo, e dedicarmi subito ai pazienti, ma la verita’ era che stavo cercando una scusa per non pensare.
    Volevo allontanare dalla mia mente il pensiero della fine del mio volontariato in RTC, l’idea che dopo quella sera non sarei mai piu’ tornata al centro.
    Pensarci mi faceva troppo male.
    Ma anche mentre ripiegavo i tovaglioli e impilavo i piatti, mi scorrevano davanti agli occhi, come su un nastro invisibile, immagini e ricordi di quei due anni, in particolare del lavoro con Alessandro : tutti i momenti difficili, nei quali mi ero sentita inutile e inesperta, e mi era sembrato di non riuscire ad aiutarlo; e le piu’ rare volte in cui lo vedevo stare meglio, non importa per merito di chi, e non mi sembrava neanche vero.

    Mentre riponevo gli avanzi della torta in frigorifero, Alessandro comparve alle mie spalle.
    “Grazie” disse senza guardarmi negli occhi. Mi girai e gli sorrisi.
    “ Grazie del regalo, mi e’ piaciuto molto” ripete’ con piu’ convinzione, e mentre gli sorridevo di nuovo notai che indossava la maglietta che gli avevo regalato. “Rimani qui stasera?”
    “ Sì, ma non devo tornare tardi perche’ preferisco non guidare con il buio”
    In silenzio uscimmo dal centro , ed , una volta all’aperto,lui si sedette su una panchina in giardino ed io rimasi in piedi appoggiata ad un muretto.
    Per qualche minuto non parlammo. C’era una particolare intensita’ nell’aria, carica di emozioni difficili da esprimere in parole, che ci limitammo a percepire senza sforzarci di comprendere, almeno in quel momento.

    Poi Alessandro si alzo’ e mi venne vicino: “ Sai, domani torno a casa” .
    “ Lo so “. “ Non so se sono contento. Forse si’, o forse….non lo so, non capisco neanch’io che cosa provo” “ Forse hai paura?” “ Si’,e mi sento in ansia, ma non lo so…non lo so perche’”
    “ Magari ti spaventa il cambiamento che stai per affrontare. Sono anni che vivi in istituto, e tornare a casa cosi’ di colpo non dev’essere facile. Magari hai paura che sia tutto cambiato rispetto a quando vivevi in famiglia da piccolo, e di sicuro molte cose saranno diverse. Prima di tutto tu sarai diverso. Sei quasi un uomo, ormai, e vedi le cose in un altro modo” Alzo’ le spalle con molta lentezza, in un gesto piu’ di rassegnazione che di disaccordo, e poi si appoggio’ completamente al muro, fissandomi con un’espressione di profonda vulnerabilita’ che non vedevo in lui da mesi.
    “ I cambiamenti fanno sempre paura – continuai – , ma spesso fa bene parlarne. Domani farai un passo avanti nel tuo futuro, un futuro che puo’ sembrarti difficile e senza certezze. Chiunque sarebbe in ansia in una situazione cosi’ complicata”
    Annui’ “ Si’, e poi non mi piacciono i servizi sociali….fanno sempre cosi’, quando sono tranquillo con la mia famiglia, loro tornano e rovinano tutto di nuovo. Si mettono sempre in mezzo, e non lasciano in pace nessuno”
    “ Hai paura che ti portino in un altro istituto…Ma gli assistenti sociali vogliono solo aiutarti. Intervengono se ci sono dei problemi, per farti stare meglio, ma in questo caso il progetto per te e’ di farti tornare in famiglia per sempre. Non penso che ti porteranno via di nuovo” “ Tu lo sai veramente?” “Non ne sono certa, ma penso che questa volta non sia come le altre” “ Speriamo…. “ sospiro’, e riprese a camminare prendendomi sotto braccio, in un gesto di affetto che mi lascio’ stupita.
    Non avevamo mai parlato cosi’ tanto in quei due anni, neanche nei periodi migliori, e non mi aveva mai dimostrato affetto, perche’ in lui il controllo delle emozioni ed il timore dell’abbandono avevano sempre prevalso.

    Ma quella sera era tutto diverso, la sua vita stava per cambiare, ed Alessandro lo sapeva.

    “Questa sera sei venuta solo per me?” – mi chiese, guardando verso il campo da calcio, nel quale i ragazzi del rifugio stavano disputando una partita.
    Essendo ormai laureata, ed avendo quindi conoscenze teoriche superiori rispetto ai primi tempi, sapevo di non dovergli dire la verita’, cioe’ che ero venuta davvero solo per lui, perche’ avrebbe sottinteso una mia preferenza per lui rispetto agli altri pazienti, quando invece all’universita’ avevo imparato ad essere almeno in teoria imparziale.
    Ma era l’ultima sera ed anch’io provavo emozioni molto forti, dunque decisi di lasciar perdere le regole, ed annuii.
    “ Perche’?” si informo’ Alessandro. “ Perche’ ti voglio bene” risposi con naturalezza.
    Una conferma cosi’ esplicita di contare per qualcuno ebbe su di lui un forte effetto.
    Rimase senza parole, distolse di nuovo lo sguardo e non replico’ per alcuni secondi, poi scoppio’ a ridere “ Ehi, non e’ che ti sarai innamorata di me?”
    Sorrisi “ Ale, ci sono molti modi di volere bene. Io sono semplicemente tua amica.”

    Continuammo a parlare, fino a quando non guardai l’ora e mi accorsi di dover tornare a casa. Allora Alessandro corse nello studio e torno’ con in mano una macchina fotografica “ Perche’ non facciamo un foto insieme? Cosi’ potro’ ricordarmi meglio di te”
    Ci sedemmo sul divano e Susanna ci immortalo’.

    Adesso quella fotografia e’ appesa nella mia camera , insieme a quelle di tutti gli altri bambini e ragazzi con i quali ho lavorato.
    Nella foto sorridiamo entrambi, e non c’e’ traccia della malinconia di quell’ultima giornata Sembriamo coetanei, e per quanto mi riguarda va bene cosi’.

    Alessandro mi accompagno’ alla porta, e mi abbraccio’.
    “ Allora Fra’….ci vediamo, eh? “

    “ Si’, ci vediamo….”

  8. #23

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    i tuoi racconti sono molto belli, francy, sono molto emozionanti. io che sono mamma di una bimba gravemente cerebrolesa leggendoli mi emoziono e penso "ah! se davvero la vita di mia figlia potesse essere così ...potrebbe anche avere un senso", ma mi rendo conto che tu fermi degli attimi, dei "cristalli", questo è proprio il compito difficilissimo della scrittura, della "letteratura" ...poi c'è la vita, che è "cronaca", ed è molto più prosaica.
    grazie per l'emozione ...
    p.s: non se ne potrebbero leggere ancora? se non ricordo male hai pubblicato un libro, come posso reperirlo?
    p.s 2: vedo solo ora il tuo avatar ..se non mi sbaglio quello è un violoncello?!? il mio compagno è violoncellista

  9. #24

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    Ti ringrazio tantissimo per averli letti!! E grazie per i complimenti. Tra l'altro l'ultimo che ho messo sara' pubblicato a breve percio' lo sto facendo leggere per avere dei pareri prima!

    i brani che ho messo sono particolarmente ottimisti e descrivono momenti positivi, ma nel libro parlo anche delle crisi e delle difficolta', ed ho vissuto un bel po' di momenti duri anche se faccio questo lavoro da poco....
    Ma alla fine penso sempre che ne valga la pena alla grande!! perche' poi basta un sorriso di uno dei miei bambini e vengo ripagata di tutto.

    Puoi trovare il mio libro su www.ibs.it oppure su www.armando.it , scrivi "Farfalle senza ali" ed esce.

    Ho scritto un altro racconto recentemente ma e' un po' "crudo"...quello si' che parla di un caso difficile e che non si e' risolto.... se hai voglia di leggerlo lo stesso lo metto, pero' e' piuttosto triste e pesante come argomento.

    La foto del mio avatar e' della violoncellista Jacqueline du Pre', la mia musicista preferita. Veramente il tuo compagno e' violoncellista?? Wow, io adoro il violoncello!!!!

  10. #25

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    Brava! Molto belli i tuoi racconti. Emozionanti. Farò di tutto per leggere il tuo libro.
    Sei una persona sensibile e responsabile, non tutti coloro che fanno il tuo stesso lavoro lo sono. Continua ad essere così...
    valeria

  11. #26

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    Grazie!!!
    Se leggi il mio libro dimmi cosa ne pensi
    Non so se adesso sono brava nel lavoro che faccio, di sicuro cerco di essere responsabile e di dare il massimo e di farlo con molta passione, pero' spero di migliorare sempre e si acquisire sempre piu' esperienza.

  12. #27

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    Ellina, ti faccio leggere una poesia che ho scritto da piccola (1996) dedicata ad una ragazzina con paralisi cerebrale che avevo conosciuto in montagna. Visto che il titolo e' "A Francesca" per anni tutti hanno pensato che parlasse di me... ma in realta' io non centro.

    A FRANCESCA (Londra, 23 agosto 1996)

    Bambina per l’eternita’
    persa in un mondo
    senza parole.
    E di innocenti falsita’,
    di cieli azzurri, balocchi
    e fole.
    Ti guardi intorno e pensi
    - Esisto-
    ma, forse, gli altri non lo sanno.
    Gli altri che un giorno,
    come d’incanto,
    improvvisamente cresceranno.
    Ma la tua vita e’ vuota di sguardi,
    affetti, e prove…
    Sospirando, sali su un treno che parte
    per chissa’ dove.

    -------- ------------ ------

    Questo invece e' l'ultimo racconto che ho scritto...come ho detto e' piuttosto "pesante"emotivamente ( o forse lo e' soprattutto per me perche' ho vissuto questo caso con molto coinvolgimento) ma spero che vi piaccia lo stesso. MIHAELA, LA PRINCIPESSA BIRMANA


    Mihaela arrivo’ nella comunita’ per adolescenti durante le vacanze di Natale.
    Aveva 16 anni, e da pochi mesi era venuta in Italia dalla Romania insieme alla madre.
    Ben presto, pero’, la donna si era accorta di non riuscire a gestirla, e l’aveva mandata in comunita’.
    Mihaela infatti aveva iniziato ad assumere droghe pesanti ad appena 12 anni, e l’uso prolungato di stupefacenti aveva danneggiato il suo sistema nervoso centrale ancora in evoluzione, quindi la ragazza soffriva di allucinazioni e deliri , durante i quali diceva di essere nata negli anni ’50 e di essere una principessa birmana.
    La cartella clinica ne parlava come di una ragazza aggressiva e violenta, pericolosa per gli altri ma anche per se’ stessa, che sfogava la sua rabbia anche in modo autolesionistico.

    Dunque rimasi stupita quando la conobbi, perche’ non sembrava affatto come l’avevo immaginata.
    Era di bassa statura e molto minuta, non solo magra ma anche di aspetto fragile, insicuro, con lo sguardo timido, come se dovesse sempre scusarsi di qualcosa.
    Solo i grandi occhi marroni evidenziati dal trucco ed i capelli tinti di un rosso sfacciato rivelavano in parte la sua storia.
    Ma per il resto sembrava un’adolescente qualunque, sicuramente intelligente, visto che oltre al rumeno parlava l’italiano ed un ottimo inglese, e persino esageratamente gentile con tutti, quasi formale nel modo di esprimersi.

    Guardandola mi chiedevo come fosse possibile che una persona cosi’ tranquilla diventasse improvvisamente pericolosa e perdesse il controllo, ma poi mi dissi che doveva essere sotto l’effetto dei neurolettici, infatti era spesso stanca ed assonnata.

    Un pomeriggio uscimmo per fare shopping, ogni volontario con un ragazzo, e a me fu assegnata Mihaela. Ci divertimmo a guardare le vetrine ed entrare nei negozi di abbigliamento, nei quali lei insisteva per provare i vestitini piu’ improbabili, che poi pero’ non poteva comperare perche’ non aveva abbastanza soldi. Prese solo una scatola di rossetti di vari colori, compreso il nero, e terminato l’acquisto mi chiese di accompagnarla fuori dal centro commerciale per fumare una sigaretta.
    “ Mmh… - fece, mentre azionava l’accendino – queste sigarette non sono un granche’. Nel mio paese si trova roba migliore, fumo e altre cose. Pero’ prima di venire qua sono andata alla stazione di Milano, ed ho trovato di meglio da fumare…mio fratello ci lavora, la’, e dice che si fanno un sacco di soldi senza fare niente. Mica male, eh?”
    “ Gia’” convenni, nonostante sapessi di cosa stava parlando, ma capivo anche che quello era l’unico mondo che conosceva e, dal suo punto di vista, non era ne’ pericoloso ne’ sbagliato.
    “ Comunque non mi dispiace l’ Italia, c’e’ gente simpatica. Mi trovo bene, con voi,e poi la mia stanza della comunita’ e’ bella e grande, e ci dormo solo io”
    “ Sembra che ti faccia piacere avere una stanza tutta per te”
    “ Eccome, non mi era mai successo di avere cosi’ tanto spazio solo per me. I primi mesi che ero qui in Italia vivevo in una stanza piccolissima con tante altre persone, almeno sei credo, e in Romania anche. Lo sai che ho cinque fratelli oltre a quello di Milano?”
    “ No, non lo sapevo” - “ Sono la piu’ piccola. Gli altri sono quasi tutti sposati”

    Finita la sigaretta, butto’ la cicca per terra schiacciandola sotto il tacco della scarpa, e ne accese un’altra.
    Poi mi si avvicino’ ad abbasso’ la voce “ Vuoi che ti dica un segreto?”
    Non sapevo di cosa parlasse, ma annuii.
    “Guarda qui”, e, mentre lo diceva, arrotolo’ entrambe le maniche della camicia, mostrandomi le braccia piene di cicatrici e di tagli, alcuni rimarginati, altri piu’ recenti.
    “ Lo faccio quando sto male. Quando sono stufa di com’e’ la mia vita, di prendere i farmaci e di avere sempre sonno, anche se so che quando non li prendo sto peggio.”
    “ Farti male non ti fa pensare al dolore che hai dentro”
    “ Si’, ma per poco. Poi finisco di tagliarmi, e tutto torna come prima. Uno schifo”
    “ Qual e’ il pensiero che ti fa sentire peggio?”
    Mihalea fece un passo indietro ed assunse un’espressione reticente, come stesse decidendo se rispondermi o no.

    “ Se te lo dico non lo dici a nessuno? Veramente l’ho gia’ detto a qualcuno, all’assistente sociale ed alla psicologa, ma non mi hanno creduta”
    “ Ti prometto’ che non ne parlero’ con nessuno”
    “ La donna che mi ha portata in Italia non e’ mia madre. E’ per questo che non voglio stare con lei, non voglio neanche vederla. E’ questa la cosa che mi fa stare piu’ male”
    E all’improvviso, senza darmi la possibilita’ di rispondere, si giro’ e corse verso la macchina.
    In comunita’ non parlo’ per tutta la sera, ma dopo cena la vidi seduta sul balcone, piegata su se’ stessa, con la testa tra le mani. Parlava da sola, e quando smetteva di parlare afferrava un pezzo di plastica appuntito e si feriva le braccia.
    Mi avvicinai per sentire le sue parole.
    “ Perche’ mi hai fatta nascere? – chiedeva tra le lacrime- Perche’ mi hai fatta nascere in Romania per portarmi a soffrire in Italia?”

    Mi allontanai, e rimasi alle sue spalle, senza parlare ne’ segnalarle la mia presenza.
    Non c’erano parole che potessero servire, in quel momento.
    Il suo dolore era troppo grande, troppo intenso, e, per quanto lo volessi, io non potevo alleviarlo in nessun modo.

    Con Mihaela non ci fu nessun ultimo colloquio, perche’ quella fu l’ultima volta che la vidi.

    Venuti a conoscenza delle rivelazioni della ragazza sull’identita’ della persona che viveva con lei, gli educatori avevano cercato di scoprire chi fosse veramente.
    E, un giorno, la presunta madre , venuta a prendere Mihaela con la scusa di riportarla a casa a prendere alcune cose, l’aveva portata via, nessuno seppe mai dove ne’ con chi.

    Non abbiamo piu’ saputo niente di lei.

  13. #28

    Predefinito !

    Trovo i tuoi scritti molto belli...freschi e piacevoli....a dispetto delle realtà che raccontano!
    E se da un lato condivido quello che dice Elena, e cioè che immortalano fugaci momenti, dall'altro non posso non pensare che sono proprio quelli che rendono queste vite "possibili" e "vivibili"........"affrontabili".
    Tu Francy testimoni con la tua esperienza che queste persone possono essere parte integrante di un contesto relazionale nel quale risultano attivi nel processo osmotico della comunicazione.

    PS:per quanto riguarda Mihaela, non è sta avviata un'indagine giuridica per accertare l'identità della donna?! Lascia molto amaro in bocca il pensiero di questa ragazza.........

  14. #29

    Predefinito

    Grazie Valeria, sono contenta che ti piacciano
    Purtroppo non so molto altro di Mihaela.... e' il caso piu' triste che mi sia capitato...

  15. #30

    Predefinito

    Francy i tuoi racconti sono davvero intensi e ricchi di emozioni...per me poi sono i racconti di un sogno perchè quello che tu fai è ciò a cui spero da sempre di potermi dedicare...
    Spero un giorno di poter lavorare anch'io con la tua stessa professionalità e il tuo impegno per aiutare persone speciali e uniche come quelle che ci hai fatto conoscere con i tuoi scritti!

    Grazie...
    Margherita, sorella di Elena...da sempre!

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