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mariop
24-05-2006, 23:54
"Pedagogia dei genitori - La dignità dell'azione pedagogica dei genitori come esperti educativi".

http://www.pedagogiadeigenitori.it/index.htm

Dalla dottoressa Edi Cecchini, riceviamo e pubblichiamo il testo del suo intervento al convegno di Mantova "Handicap Quanto conta la famiglia".

Andrea m’insegna

Andrea m’insegna ad avere pazienza
A saper aspettare
A saper ascoltare
M’insegna che non si parla solo con le parole
Che esiste un linguaggio degli occhi , del corpo, del cuore
Andrea m’insegna ad uscire dai confini della banalità
A non dar niente per scontato
M’insegna che cos’è la tenacia
Che limiti insuperabili si possono superare
M’insegna a crescere
A guardare dentro di me
A gioire
M’insegna che i bimbi grandi piangono in silenzio
M’insegna quanto vale un sorriso
Andrea m’insegna ad amare.

Edi Cecchini
Pubblicata su: Handicap & Scuola, Anno XX – novembre-dicembre 2004 No 118, p. 21



I GENITORI IN CERCHIO
Nella mia esperienza con la narrazione ho avuto due grandi maestri: Riziero, che è stato presente, che mi ha saputo aspettare, che mi ha trasmesso la sua positività e la sua carica, e mio figlio Andrea, che mi ha insegnato la sua sensibilità, le sue modalità non verbali di entrare in feed-back, la sua pazienza. E, da ultimo ma non da meno, ho avuto ed ho un grande compagno e collaboratore, che ha parlato proprio prima di me.
Ho sperimentato la narrazione prima di tutto a livello personale, secondo le modalità della Pedagogia dei Genitori, come genitore-allieva. Sono stata un’allieva reticente, scettica, irrigidita da retaggi culturali, convinta di non saper scrivere né comunicare. Come risultato di un cammino lungo e tortuoso ho sperimentato su di me come questo strumento sia riuscito ad abbattere barriere ed a migliorare la comunicazione con tutte le persone che “ruotano” intorno a mio figlio.
Per me la narrazione ha rappresentato prima di tutto un momento di auto-formazione, ma ad un certo punto ho pensato che questo fosse estremamente riduttivo, che fosse invece importante trasmettere anche agli altri quello che avevo imparato. Ho cercato di superare le mie paure, di vincere la prevaricante componente emozionale che prendeva possesso di me quando tentavo di raccontare in pubblico la mia storia e così è cominciata la mia esperienza di genitore-formatore. Ho capito che la nostra forza di formatori sta proprio nell’essere genitori ed ho cercato di farne buon uso. “I genitori in cerchio”, questa è la modalità di lavoro che noi utilizziamo. Un gruppo di persone in cerchio è per me una cosa molto bella, ci permette di vederci tutti quanti negli occhi e stare tutti allo stesso livello, senza pedane, senza cattedre. Noi ci mettiamo in cerchio e lavoriamo insieme agli allievi, toccando con mano la narrazione, perché solo così ci se ne può appropriare.
Ma che cos’è la narrazione? La narrazione è esperienza e la sua magia è nel permetterci di ENTRARE IN EMPATIA. Empatia non è solo quella commozione che naturalmente ci prende leggendo certe storie, ma è molto di più. A chi non è capitato di notare come restano impressi quegli argomenti di studio o di lettura che troviamo particolarmente appassionanti? Ecco la narrazione è questo, è calarsi in maniera appassionata in situazioni vere e viverle da vicino, è avvincente perché non è solo cronaca di eventi ma è fatta anche di emozioni e sentimenti che accompagnano l’esperienza.
La narrazione rappresenta un valido strumento formativo prima di tutto perché è un mezzo efficace per comunicare. E’ un mezzo di comunicazione non verbale, fatto anche di sguardi, di gesti, di silenzi. In medicina narrativa il “pensare con le storie” è considerato un metodo scientifico di tipo qualitativo, basato sull’esperienza del singolo. Tuttavia, la sola esperienza non costituisce vero apprendimento. Per imparare da un’esperienza, propria o altrui, è necessaria la rielaborazione. Il raccontarsi è proprio un modo per rievocare e rielaborare le proprie esperienze, attraverso l’ascolto ed il confronto con il proprio vissuto.
Mi è capitato più di una volta, all’inizio di un corso di formazione, di percepire un clima di sfiducia “Eh, saranno sempre le stesse cose, trite e ritrite! E pensare che avrei un sacco di cose da fare…” Ma quando si comincia a narrare l’atmosfera cambia.
Il nostro compito, non facile, è dare agli allievi prima di tutto fiducia e benessere, dimostrando che le narrazioni rappresentano una fonte rinnovabile di conoscenza e di arricchimento personale, proprio grazie all’unicità di ciascun essere umano e del suo percorso di vita.
Ma cosa ci può imparare da una narrazione? La narrazione è un modo discreto ma efficace per dare, ricevere e chiedere. In una narrazione si leggono paure, bisogni, ma si scoprono anche valori e risorse. Pur nelle espressioni più dure, di situazioni tristi o drammatiche, la narrazione è per sua natura propositiva e quindi aiuta a vedere le persone sotto una luce nuova: è un modo per imparare a conoscersi e capirsi e quindi, come ho accennato prima, un modo nuovo per comunicare.
Quella mia personale reticenza nell’avvicinarmi alla narrazione per la paura di non saper scrivere l’ho ritrovata in molti altri. Talvolta mi sono sentita dire “prima faccio un corso di scrittura, poi scriverò”. Oppure “non ce la faccio proprio a scrivere, è tanto tempo che non lo faccio, ho perso l’esercizio”. In realtà la narrazione è la forma letteraria più semplice, è di facile accesso, la narrazione è di tutti.
La cosa importante è “sensibilizzarsi” all’ espressione narrativa, è necessario impadronirsi di una competenza narrativa. Ma che cos’è la competenza narrativa? E’ prima di tutto il saper ascoltare se stessi e gli altri. Questo è il primo aspetto su cui noi lavoriamo: facilitare il “riabituarsi” all’ascolto.
Imparare ad ascoltare con presenza e consapevolezza. Risvegliare in noi curiosità, attenzione, interesse, ma anche disponibilità e umiltà.
In ambito formativo un punto cardine è imparare a fare lo studio di una narrazione. Ci sono molti approcci diversi per l’utilizzo della narrazione nella didattica e nella formazione. La metodologia che noi adottiamo e che parte dalla nostra esperienza vista dalla parte dei genitori, tiene conto di tre punti fondamentali: 1) leggere con presenza reclutando tutte le parole magiche imparate nell’ascolto; 2) senza perdere di vista la globalità della narrazione, identificare i punti che ci sembrano più significativi a livello formativo, quelli che sentiamo che ci insegnano qualcosa; 3) lasciare da parte il giudizio e l’analisi della persona o delle persone coinvolte.
Imparare a raccontarsi è un altro passo avanti. Troppo spesso siamo irrigiditi dal nostro bagaglio culturale e sociale, dall’imposizione del ruolo, dalla sfiducia accumulata per le troppe sconfitte e dalla perdita di autostima. Per raccontarsi è necessario mettersi all’ascolto del proprio cuore, della propria mente, della propria pancia. Riprendere possesso della propria identità: pensare in prima persona.
Ognuno di noi ha un patrimonio di esperienze da offrire. Occorre trovare il coraggio di metterci in gioco, ritroveremo il benessere e lo trasmetteremo anche agli altri.
Vorrei presentare, per concludere, un “assaggio” dei prodotti derivati da un corso di formazione rivolto a personale socio-sanitario. Al termine del corso, articolato in una serie di laboratori narrativi secondo le modalità che ho brevemente presentato, il gruppo degli allievi è stato suddiviso in sottogruppi e ad uno di questi è stato chiesto di raccontare una propria esperienza basata sulla persona (se stessi, una famiglia-utente, un bambino, un collega) e successivamente, in un momento di lavoro collettivo, raccogliere le riflessioni del gruppo sul significato dell’approccio narrativo come metodologia di lavoro.
Queste sono le osservazioni raccolte:
incontro tra “realtà” operatore/situazione: la conoscenza vera è spogliarsi della professionalità o aggiungere umanità (noi stessi) alla professionalità?
la capacità di ascoltare gli altri è la capacità di ascoltare se stessi
quando si parla di corretta prestazione o di “invischiamento”?
il rapporto deve essere un “incontro” (scatta la magia) e solo allora è possibile dare qualcosa di noi stessi.
La narrazione ha avuto effetti tangibili sul nostro gruppo, quasi come in un gruppo di auto mutuo aiuto. Ci siamo scoperti ma sentiti più forti.
Le parole possono essere “mazzate”. Abbiamo tutti imparato a soppesare di più i termini e valutare preventivamente l’impatto sugli interessati.
Caterina ha raccontato una sua esperienza molto personale che ha sentito di poter raccontare a noi in questo momento per la magia creata. Quindi anche un utente che si senta veramente accolto…..!
Ed ecco una delle narrazioni presentate:
E’ una mamma battagliera provocatoria sempre sul piede di guerra ….. pronta a puntare il dito e minacciare ripercussioni a colpi di avvocato per ogni presunto diritto negato. Mi fa arrabbiare il suo atteggiamento esigente sento non riconosciuta la mia capacità professionale… e poi io che per i miei utenti mi penso eccessivamente disponibile!
Ogni volta che la vedo entrare in ufficio o riconosco la sua voce al telefono provo una sensazione di fastidio… una sorta di rifiuto sicuramente malcelato…..
Ma se provo ad ascoltarmi un po’ più in profondità se provo a dare una voce più oggettiva alla mia pancia scopro che questa mamma mi fa paura… una paura narcisistica nel senso che temo che possa fare emergere le mie lacune, le mie incapacità … che riesca a mettermi davanti agli occhi la mia insicurezza, quella che mi fa essere la prima persona che “non riconosce la mia capacità professionale”.
Questa consapevolezza comunque arriva solo a sprazzi.. il fastidio che la signora mi suscita rimane.. o almeno rimaneva… qualche settimana fa, alla fine del GLIC che riguardava suo figlio, mi si è avvicinata, mentre io cercavo con “molta educazione” di defilarmi, per correre ad un altro appuntamento ( con una motivazione quindi che salvava la mia autostima)… le ho visto lo sguardo smarrito, la postura rilassata o meglio abbandonata… mi sono fermata. Alle prime parole che ha pronunciato le lacrime hanno iniziato a scendere anche se la sua bocca si sforzava di mantenere quel “sorrisetto” che tante volte mi aveva urtato. Ma le lacrime parlavano di più… mi ha spiazzato vederla così… non avevo strumenti né barriere da alzare.. non c’era motivo di farlo. Non sono riuscita a dirle niente e forse non era importante recuperare qualche discorso ben organizzato da propinarle.. mi sono limitata ad ascoltare più che le sue parole il suo pianto e forse per la prima volta l’ho “vista”.
Toccare la sua fragilità mi ha permesso di entrare nel suo mondo da un altro punto di vista. Forse né il mio né il suo ma quello che è nato dall’ incontro delle nostre emozioni e difese allentate… il mio rammarico più grande adesso è che dopo anni di studi e di corsi di formazione la relazione con questa mamma/utente è stata possibile soltanto grazie a lei, perché nonostante le nostre tensioni reciproche e probabilmente a differenza di quanto non sia riuscita a fare io nei suoi confronti, lei ha deciso di darmi fiducia. (Lucia Picchianti, assistente sociale)
I nostri allievi sono arrivati al corso un po’ sfiduciati e piuttosto critici, ma sono andati via emozionati perché contenti di aver imparato qualcosa. Erano soddisfatti perché erano riusciti ad emozionare anche noi. E in quel momento ho sentito che il cerchio si era chiuso davvero!
Edi Cecchini